Il legno che batte l’acciaio: la nuova frontiera dei materiali sostenibili
Quando un albero cade in una torbiera o in un letto di fiume, non sparisce subito, ma comincia a subire un processo lento e silenzioso: immerso nel fango, protetto dall’assenza di ossigeno e trasformato dai microbi, il tronco cambia volto.
Nel corso dei secoli si scurisce, si compatta e si mineralizza. Così, dopo lunghi periodi, può riemergere come legno fossile: un materiale duro, resistente al marciume e persino lucente come il marmo.
Questa magia naturale ha ispirato un gruppo internazionale di scienziati che si è posto una domanda affascinante: è possibile riprodurre questo processo naturale in laboratorio, in modo rapido e industriale?
La risposta è sorprendente e si chiama BioStrong Wood, un legno trattato con funghi e calore che riesce a superare in resistenza perfino il comune acciaio inossidabile SAE 304, pur essendo molto più leggero.
Dalla ricerca alla creazione di un super-legno
Il progetto nasce dalla collaborazione tra l’Università dei Paesi Baschi, l’Università di Wuhan e l’Accademia Cinese delle Scienze. Non si tratta solo di un materiale innovativo: possiamo definirla un’anteprima sul futuro dei materiali sostenibili.
L’idea è sostituire acciaio, plastica e altre sostanze derivate dal petrolio – ad alto impatto ambientale – con risorse rinnovabili capaci di catturare carbonio e rispettare l’ambiente.
Il legno accompagna l’umanità da millenni. Eppure, per applicazioni ingegneristiche di alta precisione, il mondo continua a preferire acciaio, alluminio o plastiche. Il motivo? Sono i difetti intrinseci del legno dato che è un materiale poroso, disomogeneo e che assorbe umidità. Limiti che lo relegano a funzioni strutturali di base.
Il professor Erlantz Lizundia, coautore dello studio, sottolinea però un punto cruciale: “Il legno è uno dei materiali biologici più accessibili, ma il suo potenziale oltre gli usi convenzionali è quasi inesplorato”. Domare i suoi difetti potrebbe significare dare al mondo un’alternativa concreta ai materiali fossili.
I segreti del processo
La natura aveva già trovato un suo metodo: quando il legno rimane sepolto per secoli, la pressione del terreno e l’azione dei funghi lo trasformano lentamente in un materiale compatto e resistente.
Gli scienziati si sono ispirati proprio a questo meccanismo naturale, ma invece di aspettare centinaia di anni, hanno cercato di ricrearlo in laboratorio in pochi giorni.
Il processo si sviluppa in tre fasi principali:
1. Digestione fungina selettiva
Gli studiosi hanno scelto due tipi di legno molto comuni e a crescita rapida: il pioppo e il pino radiata. Queste tavole vengono messe a contatto con dei funghi particolari, chiamati “white-rot” (letteralmente “marciume bianco”).
Cosa fanno questi funghi?
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Il legno è formato principalmente da cellulosa (la parte fibrosa e resistente, una sorta di “armatura naturale”) e da lignina (la “colla” che tiene insieme le fibre).
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I funghi attaccano selettivamente la lignina, cioè vanno a “rosicchiare” solo i legami chimici più deboli di questa sostanza, senza danneggiare la cellulosa.
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In pratica, allentano la struttura del legno, rendendolo più lavorabile e pronto a essere ricompattato, ma senza distruggere la sua parte più solida.
Puoi immaginare la lignina come il cemento che tiene insieme i mattoni (cellulosa). Il fungo non tocca i mattoni, ma indebolisce solo il cemento: così diventa possibile riorganizzare la struttura.
2. Trattamento chimico delicato
Dopo alcuni giorni di lavoro da parte dei funghi, arriva la seconda fase. A questo punto bisogna fermare i microbi, altrimenti continuerebbero a mangiare e alla fine danneggerebbero anche la parte buona del legno.
Per bloccarli, gli scienziati usano un lavaggio alcalino leggero: una soluzione chimica dal pH basico (un po’ come l’effetto che ha la soda caustica, ma in concentrazioni controllate e sicure per il processo).
Questo passaggio ha due precisi obiettivi:
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Disattivare i funghi, impedendo che continuino a crescere.
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Pulire il legno dai residui molecolari prodotti dall’attacco fungino
Così si ottiene una sorta di “tela pulita”, pronta a essere ricostruita.
3. Pressatura a caldo ad alta pressione
Ora arriva la parte decisiva: le tavole trattate vengono compresse a temperature molto elevate, circa 180 °C (poco meno del punto di cottura del pane in forno, per darti un’idea).
Durante questa pressatura accadono diverse cose:
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Le cellule del legno collassano, cioè si schiacciano completamente, facendo sparire i vuoti interni che normalmente renderebbero il legno leggero ma poco resistente.
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La lignina, che era stata “ammorbidita” e frammentata nella prima fase, si ricombina formando nuovi legami chimici più forti, chiamati legami carbonio-carbonio. Questi legami sono molto stabili e saldi, quasi come la colla epossidica che si usa in edilizia.
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Il risultato è un materiale molto denso, senza pori, con una compattezza che ricorda il corno o un materiale plastico molto duro.
Il segreto della sua forza sta nella semplicità
Grazie a questa combinazione di biologia (funghi), chimica (lavaggio alcalino) e fisica (pressione e calore), gli scienziati riescono a trasformare il legno in un materiale incredibilmente resistente senza distruggere gran parte della sua massa originale.
Infatti, questo processo conserva fino all’85% del legno iniziale. Per confronto, altri metodi sperimentati in passato – ad esempio quelli che prevedono trattamenti acidi molto aggressivi – portano a una perdita di materiale molto più grande.
Non solo: il metodo richiede pochissima energia e pochi solventi chimici, perché la parte più “difficile” del lavoro viene fatta dai funghi in modo naturale. Questo lo rende non solo efficace, ma anche ecologico ed economico.
Le prestazioni sono sorprendenti
I numeri parlano chiaro:
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Resistenza alla trazione oltre i 530 MPa, quindi superiore a quella dell’acciaio inossidabile standard (520 MPa).
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Assorbimento di energia undici volte maggiore rispetto al legno grezzo.
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Resistenza alla flessione triplicata.
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Stabilità termica: resta solido da –196 °C a +120 °C.
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Idrorepellenza: resiste molto bene all’umidità e non sviluppa muffe.
La microscopia elettronica rivela il suo segreto: i pori spariscono quasi del tutto e la cellulosa diventa più cristallina. La lignina riformata si comporta come una resina epossidica naturale che blocca insieme le fibre, sigillando il materiale contro acqua e ossigeno.
Un alleato del clima
Ogni chilo di BioStrong Wood sequestra più CO₂ di quanta ne emetta durante la produzione. In termini pratici: 1 kg di questo legno cattura circa 1,2 kg netti di anidride carbonica.
Un risultato in netto contrasto con l’acciaio (che emette 2 kg di CO₂ per ogni chilo prodotto) e con i compositi in fibra di vetro (fino a 5 kg di CO₂ per ogni chilo).
Inoltre, i costi di produzione stimati sono bassissimi: circa 0,30 dollari al chilo, rendendolo competitivo con il compensato e molto più economico di molti polimeri ad alte prestazioni.
Possibili applicazioni
Immaginate automobili con pannelli di carrozzeria in legno super-resistente. O racchette da tennis e attrezzature sportive più leggere e robuste. O ancora custodie per smartphone a prova di urto, travi architettoniche eleganti e isolanti criogenici.
Il bello è che il processo non si limita a un’unica specie: qualunque legno tenero o duro può essere trasformato. Questo significa che le segherie locali potrebbero usare scarti di foresta, riducendo la dipendenza da acciaio o resine petrolchimiche importate.
Le sfide da superare
Ovviamente non tutto è pronto. Servono:
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impianti industriali a pressa continua,
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bioreattori fungini rapidi,
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standard di qualità per rendere il materiale uniforme.
Inoltre, le normative edilizie richiedono di testare la resistenza al fuoco, un punto critico per materiali così densi. Anche il riciclo a fine vita dovrà essere definito, forse con processi di pirolisi che lo trasformino in biochar.
Gli scienziati stanno già sperimentando altri funghi e tempi di lavorazione più brevi per ridurre la produzione da giorni a poche ore.
Conclusione
BioStrong Wood è solo un tassello di un puzzle più ampio. La scienza dei materiali sta riscoprendo il valore delle materie prime biologiche, come nel caso del film di cellulosa batterica, delle bioplastiche vegetali… E tutte queste rappresentano soluzioni reali per sostituire i materiali che pesano di più in termini di emissioni.
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