Piantare alberi non basta a compensare l’abuso di combustibili fossili
L’idea sembra tanto semplice quanto affascinante: piantiamo alberi e il problema delle emissioni di anidride carbonica sarà risolto. Ma la realtà è molto più complessa, e uno studio recente ci mostra quanto questa visione sia, purtroppo irrealistica se presa da sola.
Tra sogni verdi e conti che non tornano
Gli alberi sono spesso visti come il “polmone verde” del pianeta, capaci di assorbire CO₂ e restituirci ossigeno. In teoria, creare nuove foreste potrebbe compensare le emissioni causate dalla combustione di petrolio, carbone e gas. Ma quando si passa dai sogni ai numeri, la proporzione diventa spaventosa.
Per bilanciare le riserve delle 200 più grandi compagnie fossili, servirebbe piantare foreste su circa 9,4 milioni di miglia quadrate: un’area più vasta dell’intero Nord America! È difficile persino immaginarlo: significherebbe cancellare città, villaggi, campi agricoli ed ecosistemi già esistenti.
Il tempo che non abbiamo
Anche ammesso di trovare questi spazi immensi, c’è un altro ostacolo: il tempo. Un albero ha bisogno di decenni per crescere e arrivare a catturare quantità significative di CO₂. Nel frattempo, il nostro “budget di carbonio” per rimanere sotto l’aumento di 1,5 °C delle temperature globali continua a consumarsi.
Il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC) stima che ci restino circa 400 gigatonnellate di margine. Ma solo il “Big Oil”, da solo, potrebbe emetterne quasi il doppio.
Un costo che supera i profitti
Alcuni potrebbero pensare che dovremmo far pagare alle compagnie fossili la compensazione. Ma anche qui i conti non tornano. Con il prezzo medio del carbonio nell’Unione Europea del 2022 (circa 80 euro a tonnellata), il 95% delle aziende risulterebbe in perdita se tentasse di bilanciare le proprie emissioni.
Gli studiosi hanno considerato anche scenari più economici, come i crediti forestali da 16 dollari a tonnellata, oppure soluzioni tecnologiche avanzate come la cattura diretta dell’anidride carbonica dall’aria, che costa circa 1.000 dollari a tonnellata. Il risultato? Nel primo caso due terzi delle aziende sarebbero comunque a rischio fallimento. Nel secondo, tutte senza eccezioni.
Conclusione? Sarebbe più conveniente, e anche più sensato, lasciare i combustibili fossili sottoterra.
Le foreste non sono gratis
Un altro equivoco è pensare che piantare alberi non abbia conseguenze. Oggi le foreste e i suoli assorbono già circa il 30% del carbonio che emettiamo ogni anno. Ma espandere artificialmente questi polmoni verdi non è un processo neutro.
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Le piantagioni a crescita rapida consumano enormi quantità di acqua e nutrienti.
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Possono ridurre la biodiversità, trasformando aree ricche di vita in monoculture sterili.
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Nelle zone aride o soggette a incendi rischiano persino di aumentare le temperature locali.
Un problema di terre e persone
C’è anche un aspetto umano da non trascurare. La maggior parte dei terreni “disponibili” per il rimboschimento sono già occupati da coltivazioni, pascoli o comunità locali. Per molte popolazioni indigene, questi spazi non sono affatto “vuoti”, ma rappresentano la loro vita, la loro cultura e la loro sopravvivenza.
Trattare queste terre come sacrificabili significa mettere in discussione ecosistemi e società intere. Inoltre, più la popolazione cresce, più aumenta la competizione per le risorse.
Trasformare milioni di chilometri quadrati in foreste artificiali significherebbe togliere spazio alla produzione di cibo, con gravi conseguenze per la sicurezza alimentare globale.
Occorre ridurre le emissioni
Tutto questo porta a una conclusione inevitabile: non possiamo affidarci solo al rimboschimento per risolvere la crisi climatica. Gli alberi sono importanti, ma non sono una bacchetta magica.
Gli schemi di compensazione, tanto amati dalle aziende che vogliono sembrare “green” senza cambiare i propri processi, spesso non sono né trasparenti né verificabili. Dietro la promessa di migliorare la situazione ecologica, c’è il rischio concreto di continuare a inquinare senza mai ridurre davvero le emissioni.
Come sottolinea Alain Naef, economista ambientale e autore dello studio, piantare alberi può aiutare, ma il divario è troppo grande. Se vogliamo avere una speranza di rispettare gli accordi climatici internazionali, la priorità assoluta deve essere tagliare le emissioni alla fonte.
Un futuro diverso è possibile
Questo non significa che il rimboschimento non serva a nulla. Ripristinare vere foreste naturali ha ancora un grande valore in quanto protegge la fauna selvatica, sostiene gli ecosistemi e rafforza la resilienza dei territori. Anche la cattura diretta della CO₂ può essere una tecnologia utile, se inserita in una strategia più ampia.
Ma pensare che basti piantare miliardi di alberi per continuare a bruciare combustibili fossili senza rimorsi è un’illusione. In fondo, la soluzione più semplice è anche quella più logica. Occorre smettere immediatamente di estrarre quello che non possiamo permetterci di bruciare.
Tenere i combustibili nel sottosuolo non costa nulla, ci regala tempo e ci permette di costruire un futuro basato su energie più pulite.
Riflessione finale
Quando pensiamo al futuro del pianeta, dovremmo forse cambiare prospettiva: non immaginare solo nuovi “polmoni verdi”, ma imparare a respirare diversamente. Come disse una volta un noto attivista: “Non possiamo continuare a spegnere un incendio con un bicchiere d’acqua, mentre dall’altra parte buttiamo benzina sulle fiamme.”
Il messaggio è chiaro: le foreste sono preziose, ma non bastano per arginare il problema. Il vero cambiamento deve iniziare dalle nostre scelte, dalle politiche e soprattutto da una riduzione concreta dei combustibili fossili.



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