Il 99,999% del fondale oceanico resta un mistero: ecco perché esplorarlo è di vitale importanza!
Pensiamo di conoscere bene la Terra, eppure la maggior parte del nostro pianeta resta avvolta dall’oscurità. Sotto chilometri di acqua salata si estende il fondale oceanico, una distesa immensa che influenza la nostra vita molto più di quanto immaginiamo. Ogni respiro che facciamo e ogni fenomeno atmosferico che osserviamo nei notiziari, ha radici in ciò che accade nelle profondità marine. Eppure, nonostante la sua importanza vitale, ne abbiamo visto solo una piccolissima parte.
Quanto poco conosciamo l’oceano profondo?
L’acqua che si trova a più di 200 metri di profondità copre due terzi del pianeta. Tuttavia, meno dello 0,001% del fondale marino è stato fotografato. Una percentuale talmente ridotta che equivale, in termini di paragone, a osservare un singolo filo d’erba su un intero campo da calcio. Come possiamo prendere decisioni cruciali per l’ambiente e l’economia globale basandoci su così pochi dati?
Un’analisi guidata dalla dottoressa Katy Croff Bell, della Lega per la scoperta dell’oceano, ha passato in rassegna oltre 44.000 immersioni documentate dal 1958 a oggi. Se tutte le foto raccolte venissero unite in un mosaico, l’area coperta sarebbe grande quanto il Rhode Island, cioè un decimo del Belgio. Insignificante, se pensiamo alla vastità dell’oceano.
Una conoscenza frammentata
Lo studio ha mostrato come quasi il 30% delle osservazioni sia stato raccolto prima del 1980, spesso con immagini in bianco e nero di qualità mediocre. Inoltre, quasi due terzi delle foto provengono da zone entro 370 km dalle coste di Stati Uniti, Giappone e Nuova Zelanda. Non sorprende, quindi, che siano proprio cinque nazioni ricche – Stati Uniti, Giappone, Nuova Zelanda, Francia e Germania – ad aver condotto il 97% delle missioni documentate.
Gli scienziati hanno fatto un paragone illuminante: sarebbe come basare tutta la conoscenza sugli ecosistemi terrestri osservando soltanto una città delle dimensioni di Houston. Una sproporzione che lascia senza parole!
Perché è così importante per la nostra vita?
Nonostante l’oceano profondo appaia lontano e inaccessibile, esso regola aspetti fondamentali della nostra esistenza:
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Clima: le correnti profonde trasportano calore e influenzano correnti a getto e uragani.
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Ossigeno: microbi invisibili agli occhi producono gran parte dell’ossigeno che respiriamo.
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Carbonio: i sedimenti marini immagazzinano enormi quantità di CO₂, fungendo da “polmone” per il pianeta.
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Medicina: spugne e coralli profondi hanno già fornito principi attivi contro cancro, infezioni e dolore.
In pratica, gli abissi rappresentano un alleato invisibile del nostro benessere. Eppure, decisioni politiche cruciali su estrazione mineraria, conservazione marina e stoccaggio del carbonio vengono prese senza dati visivi sufficienti.
Il nodo della tecnologia e dei costi
Perché non esploriamo di più? La risposta è semplice: costa troppo ! Una sola giornata a bordo di una nave da ricerca può superare i 50.000 dollari, senza contare i costi di sommergibili e veicoli telecomandati (ROV). Le attrezzature devono resistere a pressioni che schiaccerebbero un’automobile: costruirle e testarle richiede risorse enormi.
Tuttavia una nuova generazione di veicoli autonomi subacquei (AUV), grandi quanto uno zaino, permette di mappare fondali e riprendere video in alta definizione a costi molto più bassi. Grazie a software open source e sensori modulari, anche laboratori più piccoli possono gestirli.
Un passato condizionato dalla geopolitica
La storia dell’esplorazione oceanica mostra come le priorità abbiano sempre seguito il denaro e gli interessi strategici. Durante la Guerra Fredda, Stati Uniti e Unione Sovietica esplorarono canyon sottomarini per fini militari. Il Giappone si concentrò sulle trincee e sugli archi vulcanici per studiare i terremoti. In Europa, l’attenzione si è concentrata lungo le rotte dei cavi di telecomunicazione e nei potenziali siti minerari.
Il risultato? Una visione distorta della realtà. Le pianure abissali – che costituiscono quasi metà dell’oceano profondo – restano tra i luoghi meno fotografati della Terra. È come giudicare un libro leggendo solo l’indice.
Cosa ci aspetta in futuro?
Secondo il dottor Ian Miller della National Geographic Society, la chiave è coinvolgere comunità locali e piccoli Paesi costieri. Già oggi, programmi innovativi formano ricercatori presenti su isole minori a usare ROV compatti lanciati da pescherecci. Telecamere a basso costo, capaci di resistere a pressioni di 6.000 metri di profondità, possono documentare nuove specie.
E qui entra in gioco l’intelligenza artificiale: migliaia di immagini possono essere analizzate durante la notte, segnalando agli scienziati organismi mai visti prima.
Una scelta politica e culturale
Il futuro dei fondali oceanici è nelle mani della politica. I governi possono continuare a concedere licenze minerarie e ampliare la pesca d’altura senza basi solide, oppure investire in strumenti che finalmente svelino i segreti del più grande habitat del pianeta.
Ogni nuova immagine scattata negli abissi è un tassello in più per capire il nostro mondo e per imparare a proteggerlo. La storia delle profondità marine è ancora tutta da scrivere: abbiamo la possibilità di scegliere se lasciarla nell’ombra o illuminarla con la conoscenza.



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